Spiritualità clariana

G R A T I T U D I N E   D I   C H I A R A,
ossia l’avvenuta comunione con il Dio della Vita

 

 
Con l’approssimarsi della solennità della nostra Madre e Sorella Chiara, noi sorelle clarisse ci siamo interrogate sulla vera natura della gratitudine, ossia quel sentimento luminoso che nei nostri cuori stava diventando particolarmente intenso, pensando alla gloria goduta dalla nostra pianticella, e che ci spingeva ancor più a lodare Dio per la nostra vocazione, accanto a Chiara, sulle orme di Cristo.

Cosa significa essere grati? Perché la gratitudine che sperimentiamo facilmente viene sovrastata dalle difficoltà, o anche solo da piccoli contrattempi? Perché è legata così fortemente ad occasioni e non è, invece, la quotidianità?

Il modello cui guardare, come sempre, è Cristo, specchiatosi nei santi che a sua immagine si sono lasciati trasformare. Egli, l’Eternamente Amato è pura riconoscenza, totale ed eterna restituzione d’amore; è comunione d’amore con il Padre, l’Eterno Amante, nell’estasi dello Spirito.

«Ti rendo lode, o Padre» (cfr. Mt 11, 25-27; Lc 10, 21-22)… La sua è lode estasiata pur nelle contrarietà, nel rifiuto di Corazin e Betsaida; lode di ringraziamento radicata nella fedeltà del Padre buono …

La gratitudine insegna a ringraziare, dunque, ma prim’ancora insegna a vedere i doni che costantemente riceviamo da Dio, l’Altro per eccellenza, e dagli altri e riconoscere in essi l’azione salvifica di Dio.

La gratitudine dilata la vista del cuore; trova nell’ordinario la straordinarietà della gratuità: “cercate e troverete”… troverete molto più di quello che domandate al Padre e che Egli vi dona infinitamente, da sempre senza la vostra richiesta, senza la vostra gratitudine. Troverete la misura traboccante, che già è nelle vostre piccole mani; il centuplo, la pienezza: vi saprete gratuitamente figli, vi saprete gratuitamente amati, e per la gioia non potrete che chiedere di divenire amore, infinito amore come Dio, voi piccole creature.

Gratitudine che apre all’unione con Dio.

L’unione è la realtà esistenziale ultima cui, consciamente o inconsciamente, tende l’uomo. Essa, se non è cercata nel rapporto con l’altro, che sola assicura la verità di sé, tende a svilupparsi nelle pieghe deformanti dell’ego, nel quale il soggetto, spinto dall’ansia unificante, vorrebbe comprimere l’universo. Ciò che, dunque, alimenta veramente il lento processo di unificazione dell’io nella comunione è la relazionalità vissuta nella gratitudine, che per il credente ha il suo massimo e unico modello nella vita trinitaria.

Appare importante, allora, cogliere, anche con l’aiuto di Santa Chiara, cosa sia veramente la gratitudine, dal momento che essa apre alla salvezza del dono di Dio, troppo rispettoso della nostra libertà per violare il nostro ego, così spesso narcisista e incapace di vedere l’altro e i suoi benefici; conduce all’unificazione del proprio “io”, e apre alla gioia del quotidiano, così come si presenta, nella buona e nella cattiva sorte.

L’importanza della gratitudine non è solo spirituale. Essa è confermata pure da numerosi studi psicologici sul “ben-essere” esistenziale.

Proprio facendo riferimento ai risultati di tali indagini redigeremo l’identikit della persona veramente grata, unificata e pienamente riconciliata/in comunione con la vita; quindi, in un secondo momento, cercheremo di rinvenire nelle fonti clariane episodi, testimonianze, espressioni che attestino la presenza anche nella personalità di santa Chiara della perfetta gratitudine che altro non è se non pura unione d’amore con il Dio della Vita, a immagine dell’eternamente Amato.
 

La persona grata:

- apprezza in modo superiore alla media ciò che gli altri hanno fatto per aiutarla a essere quello che ora è...

- mostra una notevole tendenza ad apprezzare le piccole soddisfazioni e i piccoli piaceri che di solito sono alla portata di tutti e che molti non avvertono; gioisce di ciò che ha ed è e, astenendosi dal fare confronti e dal lamentarsi di quanto non ha ricevuto, evita l’invidia. Grata e soddisfatta di sé, la persona riconoscente non si preoccupa più dell’eventualità che altri possano aver ricevuto di più...

è consapevole di possedere una ricchezza interiore inalienabile

non si sente defraudata dalla propria storia...

- è in grado di perseguire con gioia gli obiettivi che si è proposta...

- sopporta meglio le difficoltà che la vita presenta, affrontando gli eventi stressanti, difficili, o dolorosi, con maggior forza interiore perché ha lo sguardo rivolto fuori da sé, attento alle difficoltà altrui, cosa che la preserva dall’autocommiserazione e dal ripiegamento su di sé...

- sa guardare al futuro con maggiore ottimismo e serenità, contenendo paure e ansie, perché, conservando chiara memoria dei doni ricevuti inaspettatamente e gratuitamente nel passato, ha fondati e concreti motivi per cui sperare riguardo all’avvenire...

- se credente sa rendere grazie sempre, anche nella più grande sofferenza, accogliendo la grazia di Dio, fa della sua vita un’eucaristia in Cristo, con Cristo e per Cristo . Il credente veramente grato sa trasformare il dolore in evento di salvezza...

- conosce nella verità il proprio benefattore e lo sa disinteressato, altruista; se credente, poggia il proprio motivo di lode, unicamente nella fedeltà gratuita e immensamente amorevole di Dio...


(cfr. L. López-Yarto, La gratitudine, molto più che un’emozione, in La Civiltà Cattolica, 2013, II, pp. 428-441; G. Cucci, La gratitudine radice del ben-essere, in La Civiltà Cattolica, 2008, IV, pp. 466-473)
 
Quanto riportato sopra suscita vero, grato stupore: la via all’unione con Dio, che è anche unificazione della propria persona, è quella della gratitudine. Conoscere l’altro, accettarlo com’è, e in esso conoscere il proprio ego e i suoi tanti limiti senza spaventarsene, sapendo, anzi, che quella carne fragile è stata vestita da Cristo e noi ci siamo rivestiti di Lui, questi i passi.


Il processo di maturazione/purificazione che porta alla comunione unificante, infatti, necessariamente passa attraverso l’accettazione dell’Altro per eccellenza, accettazione/conoscenza che è alla base della gratitudine.

Più in particolare l’unione con Dio si matura attraverso:

- l’accettazione della paternità di Dio, l’assimilazione della sua legge e del suo ruolo di modello;

- l’esperienza e la coscienza di vivere in unione con lui;

- l’unione/immersione nella Chiesa, suo Corpo, accolta pienamente nella logica dell’incarnazione, comunione che si fa famiglia, relazioni che superano l’io in un noi universale, rivolto a tutti, per tutti, senza distinzioni, divenendo così banco di prova della gratuità dell’amore.


 
Gratitudine:
 
La persona grata:

- apprezza in modo superiore alla media ciò che gli altri hanno fatto per aiutarla a essere quello che ora è...

Com’è noto la conversione e la vita di Chiara, come da lei stessa più volte affermato, fu profondamente segnata dall’incontro con Francesco e dalla sua fraterna presenza: la santa se ne sente figlia riconoscente, tanto da qualificarsi sua plantula, piccola realtà geminata dalla vita del Poverello, e ciò in due atti eminentemente “pubblici”, ossia la Regola (RsC cap. I, v. 3, FF. 2751), e il Testamento (TestsC 37; 49; FF. 2838; 2842).

Nei suoi scritti, poi, nomina per ben 30 volte il beatissimo padre Francesco (2 volte nella III lettera di Agnese; 10 volte nella Regola e ben 18 nel Testamento) sempre rivolgendosi allo stesso con appellativi che esprimono “contemplazione”, “stupore di bellezza” (beato, santo, glorioso), epiteti spesso declinati al superlativo (beatissimo, gloriosissimo), grado dell’aggettivo, indicante qualità eccezionali, straordinarie e, quindi, nel contesto considerato, la grandezza non solo della persona di Francesco, imitatore di Cristo, ma anche dei benefici dal santo offerti alle sorelle povere tutte.

Chiara rivolge la sua lode al Donatore, Padre delle misericordie; gli è grata per ogni dono ed è proprio in questa radicale gratitudine che sa riconoscere in Francesco lo strumento attraverso il quale sommamente si è reso palese il disegno di Dio per lei e le sue sorelle.

Francesco, vero amante e imitatore di lui (TestsC 5, FF. 2824), è stato la persona attraverso la quale Cristo ha ammaestrato le sorores.
 
Per noi il Figlio di Dio si è fatto via , e questa ci mostrò e insegnò con la parola e l’esempio il beatissimo padre nostro Francesco, vero amante e imitatore di lui.
Dobbiamo quindi considerare, sorelle dilette, gli immensi benefici di Dio a noi elargiti, ma tra gli altri, quelli che Dio si è degnato di operare in noi per mezzo del suo servo diletto, il beato Francesco nostro padre, non solo dopo la nostra conversione, ma anche quando eravamo nella misera vanità del mondo
[1].
(TestsC 5-6, FF. 2824-2825)
 
Analoghe considerazioni circa la gratitudine di Chiara nei confronti di Francesco si possono fare accostandosi al capitolo I della Regola.Chiara in cinque versetti nomina Francesco per ben 5 volte, attribuendogli la forma di vita dell’Ordine delle sorelle povere, e riconoscendosi pianticella del santo.

Interessante notare che Chiara, come qui accade, associ a Cristo il santo d’Assisi, quasi le fosse impossibile dissociare la memoria grata dell’uno dal ricordo dell’altro. Una sorta di endiadi esistenziale (una cosa tramite due): l’identità di Chiara è di indegna ancella di Cristo e pianticella del beatissimo padre Francesco; è ancella di Cristo perché pianticella di Francesco, strumento della grazia divina operante nella sua vita.

La lode che sgorga non può che essere alta e “cantata” pure in un testo giuridico che regola la vita comunitaria delle dame che assieme a Chiara vivono la sequela di Cristo sulle orme di Francesco.
 
La Forma di vita dell’Ordine delle sorelle povere, istituita dal beato Francesco, è questa:
Osservare il santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità.
Chiara, indegna ancella di Cristo e pianticella del beatissimo padre Francesco, promette obbedienza e riverenza al signor papa Innocenzo e ai suoi successori canonicamente eletti, e alla Chiesa romana.
E come al principio della sua conversione, insieme alle sue sorelle, promise obbedienza al beato Francesco, così promette di mantenerla inviolabilmente ai suoi successori.
E le altre sorelle siano tenute a obbedire sempre ai successori del beato Francesco e a sorella Chiara e alle altre abbadesse elette canonicamente, che le succederanno

(RsC Cap. I,. 1-5, FF. 2750-2753)
 
Questo l’incipit della prima regola scritta, dopo tante traversie, da una donna, la prima in età medievale: neppure un sentore di autocompiacimento, solo la povertà grata di chi riconosce in ogni singolo istante, evento, circostanza il dono gratuito di un Altro.

 
mostra una notevole tendenza ad apprezzare le piccole soddisfazioni e i piccoli piaceri che di solito sono alla portata di tutti e che molti non avvertono; gioisce di ciò che ha ed è e, astenendosi dal fare confronti e dal lamentarsi di quanto non ha ricevuto, evita l’invidia. Grata e soddisfatta di sé, la persona riconoscente non si preoccupa più dell’eventualità che altri possano aver ricevuto di più...
 
L’epistolario tra Chiara ed Agnese di Boemia offre numerosi esempi della capacità di Chiara di gioire di quelle “piccole” realtà che sono alla portata di tutti. Realtà “piccole” secondo la logica del Regno, che aprono la via alla pace, conducendo lo sguardo oltre l’oggi, il passato, l’avvenire, lì nell’eterno luogo dell’amore amante amato.

La fama di santità di Agnese, figlia dell’eccellentissimo e illustrissimo re di Boemia, e il proposito di seguire Cristo consacrandosi a lui totalmente fanno gioire Chiara. Piccola realtà quotidiana che porta la firma del Creatore, l’Onnipotente che si può rivelare ai suoi piccoli solo velandosi, rivestendosi di umiltà …

Eppure quante volte il credente esulta per l’opera della grazia visibile in un fratello, una sorella, senza dare il minimo spazio al confronto con la propria vita di fede? Esulta senza che neppure la più piccola amarezza gli veli il cuore? … La propria infedeltà, la propria incostanza, la propria incapacità di ricambiare l’amore di Dio… Forse non sorge l’invidia, ma un po’ di tristezza si palesa di fronte all’accoglienza di Dio da parte dei santi: si gioisce del connubio tra tali anime e il loro Creatore, ma pressoché immediatamente scorrono nella memoria anni di cadute, tradimenti, peccati, miserie. I propri. Non il confronto sano del “si isti et istae cur non ego?”, non il dolore del peccato, il pianto fisso in alto tra le braccia del trafitto, ma uno sguardo che scende dalle vette e scivola di nuovo nell’io.

Chiara, invece, esulta e non toglie mai lo sguardo da Agnese, non torna a sé, anzi l’altro è la via per contemplare Dio, ricchezza sicura e fedele della sua creaturalità.
 
All’udire la fama onorevolissima della vostra santa condotta di vita, fama che non è giunta solo a me, ma si è sparsa in modo straordinario quasi nel mondo intero, gioisco grandemente nel Signore ed esulto; e di ciò non debbo esultare soltanto io, ma tutti coloro che servono o desiderano servire Gesù Cristo
(1LAg 3-4, FF. 2860)
 
È il sacrificio di lode che Dio chiede, questo pare dire Chiara, affermando che tutti dovrebbero gioire, coloro che già servono Dio, ma anche, e forse soprattutto, coloro che desiderano servirlo.
 
Rendo grazie al donatore della grazia, dal quale, come crediamo, scaturisce ogni bene sommo e ogni dono perfetto, perché ti ha ornata di così numerosi titoli di virtù e ti ha decorata con le insegne di una così grande perfezione che fatta amorosa imitatrice del Padre perfetto, meriti di divenire a tua volta perfetta, così che i suoi occhi non vedano in te nulla di imperfetto”.
(2LAg 3-4, FF. 2872)
 
Alle notizie della tua salute, della tua felice condizione e dei tuoi prosperi successi, dai quali comprende che sei piena di vigore nella corsa intrapresa per ottenere il premio celeste, sono ripiena di così grande gioia e respiro di tanta esultanza nel Signore, in quanto riconosco e ritengo che tu supplisci in modo meraviglioso a ciò che manca, in me e nelle mie sorelle, nella sequela delle orme di Gesù Cristo povero ed umile.
Davvero posso gioire e nessuno potrebbe strapparmi da così grande gioia…
(3LAg 3-5, FF. 2884-2885)
 
Ora invece, che posso scrivere alla tua carità, gioisco ed esulto con te nel gaudio dello spirito, o sposa di Cristo...
(4LAg 7, FF. 2900)

 
Quanto sopra citato esemplifica la propensione di Chiara di gioire veramente per ogni frammento di vissuto, ravvisandovi sempre l’opera del Padre misericordioso che la ama e l’ha tanto amata da rivestire la sua stessa povera carne.

E prim’ancora, quale realtà più dell’incarnazione può essere alla portata di tutti? Quale gioia altrettanto grande può derivare da una realtà così limitata, “misera”, bisognosa dall’Altro, degli altri? Eppure la carne, la vita fragile di ciascuno, amata, abitata, sposata dal suo Creatore, spesso è fuggita: la si vorrebbe trasfigurata; disincarnata, onnipotente …

Chiara non fugge; Chiara accoglie la “miseria” della sua creaturalità. È, lì, nella povertà della sua carne, vissuta nella più completa dipendenza dagli altri, latori, non del sovrappiù, ma del necessario per sopravvivere, che Chiara gioisce, avendo in essa trovato Cristo, il Logos eterno d’amore, il Dio amato che si restituisce, pura gratitudine, al Padre e agli uomini.
 
O pia povertà, che il Signore Gesù Cristo, nel cui potere erano e sono il cielo e la terra, il quale disse e tutto fu creato, si degnò di abbracciare a preferenza di ogni altra cosa! (…)
Se dunque un così grande e tale Signore, quando venne nel grembo verginale, volle apparire disprezzato, bisognoso e povero, perché gli uomini, che erano poverissimi e bisognosi e soffrivano l’eccessiva mancanza di nutrimento celeste, fossero resi in lui ricchi con il possesso dei regni celesti, esultate grandemente e gioite ricolma di immenso gaudio e letizia spirituale; perché, avendo voi preferito il disprezzo del mondo agli onori, la povertà alle ricchezze temporali (…) abbondantissima è la vostra ricompensa e a ragione avete meritato di essere chiamata sorella, sposa e madre del Figlio dell’Altissimo Padre e della gloriosa Vergine
(1LAg 17, 19-21, FF. 2865)

 
Chiara ama ciò che ha trovato, la verità manifestata in Cristo a tutti gli uomini; ama con tutta sé stessa la conoscenza velata che solo nell’eternità sarà incontro faccia a faccia. Chiara desidera l’Oltre, vive di lui, ma tiene stretto a sé ciò che ha ora, pur in tutti i suoi limiti.
 
Memore del tuo principio, come una seconda Rachele sempre vedendo il tuo principio, ciò che hai ottenuto tienilo stretto, ciò che stai facendo, fallo e non lasciarlo, ma con corsa veloce, passo leggero (…) alacre avanza cautamente sul sentiero della beatitudine”.
(2LAg 11-13, FF. 2875)


 
è consapevole di possedere una ricchezza interiore inalienabile...
 
La verità vivificante dell’incarnazione illumina ogni fragilità, miseria, finitezza umana e la fedeltà del Donatore, Padre delle misericordie, “sussume” sempre e per sempre l’umano nell’eterno amore.
 
Ecco, è ormai chiaro che per la grazia di Dio la più degna tra le creature, l’anima dell’uomo fedele, è più grande del cielo, poiché i cieli con tutte le altre creature non possono contenere il Creatore, mentre la sola anima fedele è sua dimora e sede, e ciò soltanto grazie alla carità di cui gli empi sono privi, come afferma la Verità stessa: Chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò, e verremo a lui e faremo dimora presso di lui
(3LAg 21-23, FF. 2892)

 
Tanta è la gratitudine verso Dio, Creatore e abitatore della realtà umana, che Chiara, prossima alla morte, esorta le sorelle ad amare le loro anime.
 
Siate sempre amanti di Dio, delle vostre anime e di tutte le vostre sorelle
(BensC 14, FF. 2857)


 
non si sente defraudata dalla propria storia...
 
Si dovrebbe citare l’intero testamento, in cui Chiara ripercorre la sua vita e vi scorge la fedele presenza amorevole del Padre. Ci limitiamo a riportarne l’incipit che menziona l’inizio di ogni esistenza, ossia la vocazione, la chiamata alla Vita, sottolineando, tralaltro, come lo scritto considerato assuma connotati autobiografici stricto sensu solo nei versetti 24-26, ove Chiara, parlando, in prima persona singolare, di sé stessa, espressamente ripercorre con gratitudine e sguardo aperto alla Verità la propria storia di salvezza, mentre nelle restanti parti, pur autobiografiche (vv. 27-41, secondo la suddivisione suggerita da p. M. Erasmi, nella pubblicazione Chiara d’Assisi e la fecondità storica di un carisma, edizioni Messaggero Padova, 2008), la santa trapassi al plurale “noi”, con ciò rivelando il suo essere figlia tra fratelli e sorelle di un unico Padre.
 
Tra gli altri benefici, che ricevemmo e ogni giorno riceviamo dal nostro Donatore, il Padre delle misericordie, per i quali dobbiamo maggiormente rendere grazie allo stesso glorioso Padre, c’è la nostra vocazione”.
(TestsC 2, FF. 2823)


 
è in grado di perseguire con gioia gli obiettivi che si è proposta...
 
La gioia di Chiara non è cieca euforia. Chiara è una donna concreta che conosce la vita e le sue durezze: la via è stretta, la porta angusta nel regno dei cieli (cfr. 1LAg v. 29, FF. 2867), eppure la santa invita alla gioia, canta la felicità della corsa intrapresa per ottenere il premio celeste (cfr. 3LAg v. 4, FF. 2884).
 
Memore del tuo principio, come una seconda Rachele sempre vedendo il tuo principio, ciò che hai ottenuto tienilo stretto, ciò che stai facendo, fallo e non lasciarlo, ma con corsa veloce, passo leggero, senza inciampi ai piedi, così che i tuoi passi non raccolgano nemmeno la polvere, sicura, gioiosa e alacre avanza cautamente sul sentiero della beatitudine”.
(2LAg 11-13, FF. 2875)

 

sopporta meglio le difficoltà che la vita presenta, affrontando gli eventi stressanti, difficili, o dolorosi, con maggior forza interiore perché ha lo sguardo rivolto fuori da sé, attento alle difficoltà altrui, cosa che la preserva dall’autocommiserazione e dal ripiegamento su di sé...
 
Chiara guarda l’altro e non smette mai di farlo, neppure tra le difficoltà che una vita di preghiera e povertà impone ad un gruppo di donne nell’epoca medievale. È l’altro il fulcro dei suoi occhi, l’altro in cui si rispecchia Dio, l’altro bisognoso, l’altro che viene incontro e interroga profondamente, rimandando alle profondità dell’io che solo Dio contempla e abbraccia. L’altro davanti a sé; prima di sé.
In tal senso è significativo che Chiara, proprio nel dialogo con Francesco e le sorelle, abbandoni la visione di rigida ascesi penitente che le dettava il cuore nei primi anni di vita comune.

Non dev’essere stato facile accogliere una visione che pareva spegnere il suo fuoco d’amore, eppure Chiara, proprio perché fortemente protesa verso l’altro, si spogliò di sé stessa, aprendosi così “verso una nuova concezione della penitenza e quindi anche verso un nuovo rapporto con il proprio corpo. (…) La sua vita si allargò come ad assumere un nuovo corpo, non più solitario, ma collettivo, il corpo comune della comunità di San Damiano in cui era compresso anche il corpo di Chiara. (…) In un primo momento Chiara sembrò prendere le difficoltà di petto, tanto da sottoporsi a digiuni e prove ancora maggiori di quelli che le erano imposte dalla necessità. In un secondo momento, però, forse proprio dietro consiglio di Francesco, si operò in lei una trasformazione: le difficoltà del proprio corpo vennero allora affrontate da Chiara non solo e non tanto sottoponendole a discipline ancora maggiori, quanto preoccupandosi concretamente del corpo delle proprie sorores come fosse del proprio” (cfr. M. Bartoli, Chiara d’Assisi, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 1989, p. 143-144)
 
Ancho disse questa testimonia, che essa beata Madre veghiava tanto la nocte in oratione, et faceva tante abstinentie, che le Sore se ne dolevano et lamentavano; et disse [sora Pacifica] che lei medesima per questo haveva pianto alcuna volta como questo sapesse, respose: perché el vidde quando epsa madonna Chiara giaceva in terra et haveva al capo suo una pietra del fiume, et udivala quando epsa stava in oratione.

Et disse che nelli cibi era tanto strecta, che le Sore maravigliavano como lo corpo suo viveva. Disse ancho che la predicta beata Chiara stecte molto tempo che tre dì della septimana non mangiava nesuna cosa, cioè el lunedi, el mercordì e el venerdì. Et disse che li altri dì faceva tanta abstinentia che incurse in una certa infirmità, per la quale cosa sancto Francesco insieme col Vescovo de Assise li comandò che in quelli tre dì mangiasse almancho meçço boçço de pane el dì, lo quale puoi essere circha una oncia et meçça. (…)

Ancho disse che epsa beata Madre inverso le Sore suoi era humile, benigna et amorevole, et haveva compassione alle inferme: et mentre che epsa fu sana, le serviva et lavava a lloro li piedi et dava l'acqua alle mani; et alcuna volta lavava li sedili de le inferme.
Adomandata como sapesse le decte cose, respose, che epsa lo vidde più volte”.
(Proc 1, 7-8; 12, FF. 2931-2932; 2836)

 

Si può inoltre notare che “quasi tutti i miracoli compiuti in vita da Chiara furono delle guarigioni di sorores malate”. Tali guarigioni “non sono altro che l’espressione dell’estrema preoccupazione di Chiara per la salute e la vita delle sue compagne. Come dice la leggenda: «questa venerabile abbadessa non solo ama le anime delle sue figlie, ma anche serve i loro corpi con meraviglioso zelo di carità» (Leg. Cl., 38)”. (cfr. M. Bartoli, Chiara d’Assisi, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 1989, p. 143-144).

E nella Regola, Chiara, che ben aveva conosciuto anche la solitudine della malattia sebbene subitamente visitata dalla grazia (ne la notte de la Natività del Signore (…), non potendo essa per la grave infermità levarse del letto per intrare nella cappella, le sore andaro tutte al mattutino al modo usato, lassando lei sola. Allora epsa madonna suspirando disse: «o Signore Dio, ecco che so’ lassata sola ad te in questo loco» ”, Proc 3, 30, FF: 2996; cfr. Proc 4,16; 7, 9; LegsC 19), espressamente deroga al silenzio, cardine della vita contemplativa, con la volontà di poter assicurare così un po’ di conforto alle ammalate, ed esorta a prendersi maternamente cura delle sorelle inferme.
 
Dall’ora di compieta fino a terza le sorelle mantengano il silenzio, eccettuate quelle che prestano servizio fuori del monastero. Osservino anche continuo silenzio in chiesa, in dormitorio; in refettorio soltanto quando mangiano. Si eccettua l’infermeria dove, per sollievo e servizio delle inferme, sia sempre permesso alle sorelle di parlare con discrezione
(RsC 1-3, FF. 2783)
 
Riguardo alle sorelle inferme, l’abbadessa sia fermamente tenuta a informarsi con sollecitudine, da sé e per mezzo delle altre sorelle, di ciò che richiede la loro infermità, tanto nei consigli che nei cibi e nelle altre necessità, e a provvedere caritatevolmente e misericordiosamente, secondo la possibilità del luogo. Poiché tutte sono tenute a provvedere e a servire le loro sorelle inferme, come vorrebbero essere servite esse stesse se incorressero in qualche infermità.
Con sicurezza manifesti l’una all’altra la propria necessità. E se la madre ama e nutre la sua figlia carnale, con quanto maggiore amore deve la sorella amare e nutrire la sua sorella spirituale!
(RsC 12-16, FF. 2797-2798)

 

sa guardare al futuro con maggiore ottimismo e serenità, contenendo paure e ansie, perché, conservando chiara memoria dei doni ricevuti inaspettatamente e gratuitamente nel passato, ha fondati e concreti motivi per cui sperare riguardo all’avvenire...
 
Quale passo umanamente più ignoto della morte? Quale futuro meno conosciuto? Eppure Chiara è sicura, sicura per la fedeltà del suo Creatore.
 
Ancho disse epsa testimonia [sora Filippa] che, essendo la predicta madonna et sancta Matre presso alla morte, una sera de nocte sequendo el sabbato, epsa beata Matre incominciò ad parlare dicendo cosi: "Va' secura in pace, però che haverai bona scorta, però che quello che te creò, innanti te sanctificò, et poi che te creò mise in te lo Spirito Sancto, et sempre te ha guardata como la matre lo suo figliolo lo quale ama". Et agionse: "Tu, Signore, sii benedecto, lo quale me hai creata".
(Proc 3, 20, FF. 2986)

 

se credente sa rendere grazie sempre, anche nella più grande sofferenza, accogliendo la grazia di Dio, fa della sua vita un’eucaristia in Cristo, con Cristo e per Cristo . Il credente veramente grato sa trasformare il dolore in evento di salvezza...
 
Chiara rimase inferma per più di ventotto anni, durante i quali, testimoniano le sorelle, non si levò dalle sue labbra neppure un lamento: tutto concorre al bene dei figli di Dio.

Tante le espressioni che rimandano direttamente o indirettamente a questa verità vissuta pienamente da Chiara: il tenore delle lettere indirizzate ad Agnese e redatte durante la malattia, presumibilmente in prossimità della morte (4LAg), da cui trapelano intensa energia vitale, amore sponsale, desiderio di correre e trovare riposo nel bacio dello Sposo, nel suo abbraccio inebriante; le deposizioni del processo di canonizzazione, nonché le testimonianze relative alla sua morte e riportate nelle leggenda di Tommaso da Celano.
 
Ancho disse [sora Francesca], che una volta, credendo le Sore che epsa beata Matre fusse in estremo presso alla morte, et lo sacerdote li desse la sacra Comunione del corpo del nostro Signore Iesu Christo, 54epsa testimonia vidde sopra el capo de la sopra dicta Matre sancta Chiara uno splendore molto grande, et parve ad lei che el corpo del Signore fusse uno mammolo piccholo et molto bello. 55Et da poi che epsa sancta Matre lo hebbe recevuto con molta devotione et lacrime, come sempre era usata, disse queste parole: 56«Tanto benefitio me ha dato oggi Idio, che el celo et la terra non li se poterieno aparegiare».
(Proc 9, 10, FF. 3068)
 
Mentre nei primi anni il vigore della carne aveva dovuto soggiacere all’austerità della penitenza, negli ultimi anni la afflisse una grave infermità, di modo che, come da sana era stata arricchita dai meriti delle opere, da inferma lo fu dalle sofferenze. Infatti la virtù si perfeziona nelle infermità.
Come la sua ammirevole virtù sia stata raffinata nella malattia, appare in particolare da questo, che durante i ventotto anni di continua sofferenza «non si sente un brontolio né una lamentela, ma» dalla sua bocca sempre un colloquio santo, sempre esce un’azione di grazie (ringraziamento)”.
(LegsC, 26, FF. 3235-3236)
 
Da ultimo è vista agonizzare per più giorni, durante i quali la fiducia della gente e la devozione del popolo aumenta; visitata spesso da cardinali e prelati, che la onorano come vera santa. E, cosa davvero mirabile a udirsi, sebbene per diciassette giorni non potesse prendere alcun cibo, dal Signore fu resa così forte da esortare a servire Cristo tutti quelli che si recevano da lei.
Infatti a Frate Rainaldo, uomo affettuoso, che la esortava alla pazienza nel lungo martirio di tante infermità, con tranquillissima voce rispose: «Dopo che conobbi la grazia del mio Signore Gesù Cristo tramite il suo servo santo Francesco, nessuna pena, fratello carissimo, mi è stata molesta, nessuna penitenza grave, nessuna infermità dura»”.
(LegsC, 29, FF. 3246-3247)


 
conosce nella verità il proprio benefattore e lo sa disinteressato, altruista; se credente, poggia il proprio motivo di lode, unicamente nella fedeltà gratuita e immensamente amorevole di Dio...
 
Chiara è lode del Padre buono che ben conosce: gli appellativi, con cui essa predilige rivolgersi all’Altissimo di san Francesco, sono, infatti, Donatore e Padre delle Misericordie. Quali espressioni più fiduciose? Dio è Padre fedele, tenera madre, che ci ha amati chiamandoci alla vita e che segue ogni passo del nostro andare a lui, santificandolo. È Dio che dà tutto alla sua creatura, como la matre lo suo figliolo lo quale ama”: “Tu, Signore, sii benedecto, lo quale me hai creata” (Proc 3,20, FF 2986).
 
Lo stesso Signore, che ci ha dato un buon principio, ci doni di crescere, e ci dia anche la perseveranza finale”.
(TestsC 78, FF. 2852)

 
 santa Chiara

Comunione - Unione con Dio:
 
Il processo di maturazione/purificazione che porta alla comunione necessariamente passa attraverso l’accettazione dell’Altro per eccellenza, più in particolare attraverso:
 
l’accettazione della paternità di Dio, l’assimilazione della sua legge e del suo ruolo di modello...

 
Una parola sintetizza in Chiara i tre atteggiamenti spirituali-esistenziali suindicati che caratterizzano l’unione con Dio: povertà. Povertà scelta dal Logos per amore del Padre e degli uomini e, dunque, Via, Verità e Vita; povertà condizione della gloriosa vergine sua Madre; povertà nudità della Croce, varco alla Pasqua; povertà condizione degli ultimi, prediletti dal Padre; povertà la “mendicità” liberante di chi si affida totalmente al Padre, come il giglio dei campi e la rondine dei cieli. Povertà il limite salvifico e benedetto della creaturalità.
Paupertas è un vocabolo fondamentale in Chiara: ricorre per ben 40 volte nei suoi scritti (15 nelle epistole; 11 Regola; 14 Testamento), mentre solo 10 volte negli scritti di Francesco, che pure è il Poverello per antonomasia.
 
La Forma di vita dell’Ordine delle sorelle povere, istituita dal beato Francesco, è questa:
Osservare il santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità.
(RsC Cap. I, 1, FF. 2750)

 
Le sorelle non si approprino di nulla, né casa, né luogo, né alcuna cosa, e come pellegrine e forestiere in questo mondo, servendo il Signore in povertà e umiltà, mandino con fiducia per l’elemosina, né devono vergognarsi, perché il Signore per noi si fece povero in questo mondo. Questo è il vertice dell’altissima povertà, che vi ha costituito, carissime sorelle mie, eredi e regine del regno dei cieli, vi ha fatto povere di cose, ma vi ha sublimate nelle virtù. Questa sia la vostra porzione, che conduce nella terra dei viventi. Aderendo totalmente ad essa, non vogliate mai, sorelle amatissime, avere altro in perpetuo sotto il cielo, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre”.
(RsC Cap. VVIII, 1-6, FF. 2795)

 
l’esperienza e la coscienza di vivere in unione con lui...
 
Sebbene Chiara non descriva direttamente le proprie esperienze di unione mistica con Dio, questa realtà trapela abbondantemente dal tenore delle lettere ad Agnese: in esse la santa, pur provata dalla sofferenza fisica, si scioglie in un anelito amoroso che si fa poesia[2].
 
Amandolo siete casta, toccandolo sarete più pura, lasciandovi possedere da lui siete vergine; la sua potenza è più forte, la sua nobiltà più elevata, il suo aspetto più bello, il suo amore più soave e ogni suo favore più fine. Ormai stretta nell’abbraccio di lui, che ha ornato il vostro petto di pietre preziose e ha messo alle vostre orecchie inestimabili perle, e tutta vi ha avvolta di primaverili e scintillanti gemme e vi ha incoronata con una corona d’oro, incisa con il segno della santità”.
(1LAg 8-11, FF. 28
62)

 
Guarda, o regina nobilissima, il tuo sposo, il più bello tra i figli degli uomini, divenuto per la tua salvezza il più vile degli uomini, disprezzato, percosso e in tutto il corpo più volte flagellato, perfino morente tra le angosce della croce: guardalo, consideralo, contemplalo, desiderando di imitarlo.
Se con lui patirai, con lui regnerai, soffrendo con lui, con lui godrai, morendo con lui sulla croce delle tribolazioni, possederai con lui le celesti dimore negli splendori dei santi e il tuo nome sarà scritto nel libro della vita e diverrà glorioso tra gli uomini”.
(2LAg 20- 22, FF. 2879-2880)
 

Gioisci dunque anche tu nel Signore sempre, carissima, e non ti avvolga nebbia di amarezza, o signora in Cristo amatissima, gioia degli angeli e corona delle sorelle.
Poni la tua mente nello specchio dell’eternità, poni la tua anima nello splendore della gloria, poni il tuo cuore nella figura della divina sostanza e trasformati tutta, attraverso la contemplazione, nell’immagine della sua divinità,
per sentire anche tu ciò che sentono i suoi amici gustando la dolcezza nascosta che Dio stesso fin dall’inizio ha riservato a coloro che lo amano. E lasciando completamente da parte tutte quelle cose che in questo mondo fallace e inquieto prendono al laccio i loro ciechi amanti, ama con tutta te s
tessa colui che tutto si è donato per amore tuo, 

la cui bellezza ammirano il sole e la luna, le cui ricompense sono di preziosità e grandezza senza fine: parlo del Figlio dell’Altissimo”.
(3LAg. 10-17, FF. 2887-2890)
 

Felice certamente colei a cui è dato godere di questo sacro connubio, per aderire con il più profondo del cuore a colui la cui bellezza ammirano incessantemente tutte le beate schiere dei cieli, il cui affetto appassiona, la cui contemplazione ristora, la cui benignità sazia, la cui soavità ricolma, il cui ricordo risplende soavemente (…).
E poiché egli è splendore della gloria, candore della luce eterna e specchio senza macchia, guarda ogni giorno questo specchio, o regina sposa di Gesù Cristo, e in esso scruta continuamente il tuo volto, perché in tal modo tu possa adornarti tutta all’interno e all’esterno, vestita e avvolta di variopinti ornamenti, ornata insieme con i fiori e le vesti di tutte le virtù, come conviene a figlia e sposa amatissima del sommo Re. (…).
Lasciati dunque accendere sempre più fo
rtemente da questo ardore di carità, o regina del Re celeste!

Contemplando inoltre le indicibili sue delizie, le ricchezze e gli onori eterni, e sospirando per l’eccessivo desiderio e amore del cuore, grida: Attirami dietro a te, correremo al profumo dei tuoi unguenti, o sposo celeste! Correrò e non verrò meno, finché tu mi introduca nella cella del vino, finché la tua sinistra sia sotto il mio capo e la destra felicemente mi abbracci e tu mi baci con il felicissimo bacio della tua bocca”.
(4LAg 9-14, 27-32, FF. 2901-2902; 2905-2906)

 
Nei passi citati, compare pure l’immagine/tema dello specchio, proprio della mistica medievale e accolto da Chiara per esprimere l’esperienza sponsale da lei vissuta. Lo specchio rimanda l’immagine di chi vi si mira: vedervi Cristo e lasciarsi trasformare da tale contemplazione, altro non significa che egli è già uno con noi, primizia di lode al Padre, nostra vera immagine.
 
l’unione/immersione nella Chiesa, suo Corpo, accolta pienamente nella logica dell’incarnazione; comunione che si fa famiglia, relazioni che superano l’io in un noi universale, rivolto a tutti, per tutti, senza distinzioni, divenendo così banco di prova della gratuità dell’amore...
 
Chiara non riesce a concepirsi se non per l’Altro e gli altri: è Chiesa; è comunità delle sorelle; per opera della grazia, desidera essere sposa, madre, sorella di Cristo. Il “noi” è la dimensione personale che la abita.
 
Il Signore ci collocò come forma, in esempio e specchio non solo per gli altri uomini, ma anche per le nostre sorelle, che il Signore chiamerà alla nostra vocazione, affinché esse pure siano specchio ed esempio a quanti vivono nel mondo”.
(TestsC 19- 20, FF. 2829)

 
Sempre nel testamento, atto, per sua natura e definizione, eminentemente personale, il “nos” compare ben 10 volte sulle 21 complessive, mentre l’ “ego” 2 delle 7 complessive, e in una di queste (foss’anche per una concordanza ad sensum, di fatto ciò avviene!) Chiara trapassa dall’io al noi.

 
Considerans igitur ego Clara, Christi et sororum pauperum monasterii Sancti Damiani ancilla, licet indigna, et plantula sancti patris cum aliis meis sororibus tam altissimam professionem nostram et tanti patris mandatum, fragilitatem quoque aliarum quam timebamus in nobis post obitum sancti patris nostri Francisci, qui erat, columna nostra et unica consolatio nostra post Deum et firmamentum, iterum atque iterum voluntarie nos obligavimus dominae nostrae Sanctissimae paupertati, ne post mortem meam sorores quae sunt et quae venturae sunt ab ipsa valeant ullatenus declinare”.
(TestsC 37-39, FF. 2838)

Così io, Chiara, ancella di Cristo e delle sor
elle povere del monastero di San Damiano, benché indegna, e pianticella del padre santo, considerando con le altre mie sorelle la nostra altissima professione e il comandamento di un padre tanto grande, e anche la fragilità delle altre, che temevamo in noi stesse dopo la morte del santo padre nostro Francesco – che era nostra colonna e nostra unica consolazione e sostegno dopo Dio -, più e più volte volontariamente ci obbligammo alla signora nostra, la santissima povertà, affinché dopo la mia morte le sorelle presenti e quelle che verranno abbiano la forza di non allontanarsi in nessun modo da essa”.

(TestsC 37-39, FF. 2838)
 
… Sorelle presenti e future, le stesse che Chiara benedice in un respiro d’amore universale che spazia nel tempo verso l’eternità.
 
Il Signore vi benedica e vi custodisca.
Mostri a voi la sua faccia e abbia misericordia di voi.
Volga il suo volto verso di voi e dia pace a voi, sorelle e figlie mie, e a tutte le altre che verranno e rimarranno in questa nostra comunità e a tutte quelle, sia presenti che future, che persevereranno sino alla fine in tutti gli altri monasteri delle signore povere”.
(BensC 1-5, FF. 2854)

 
Chiara si sente parte della Chiesa pure in senso gerarchico, ravvisando in questa la Sposa di Cristo. La sua, tuttavia, non è un’adesione meramente indotta dal sostrato storico-culturale, che anzi era contrassegnato da forti contrasti con il Papato: il suo è sguardo trasfigurato sulle realtà ultime che le consente di farsi una con la Chiesa e al contempo di opporsi alle autorità ecclesiali, quando ritenga che il loro operato collida con la propria vocazione.
 
Le sorelle siano fermamente tenute ad avere sempre per nostro governatore, protettore e correttore quello dei cardinali della santa Chiesa romana che sarà stato assegnato per i frati minori dal signor papa; affinché, sempre suddite e soggette ai piedi della stessa santa Chiesa, salde nella fede cattolica, osserviamo in perpetuo la povertà e l’umiltà del Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre, e il santo Vangelo, come abbiamo fermamente promesso. Amen”.

(RsC 12,13 FF. 2819-2820)
 
Appunto l’obbedienza alla gerarchia è modalità concreta di vivere il vangelo e seguire Cristo e tale deve mantenersi, non trascolorando mai nell’adesione cieca al volere altrui. Così, di fronte alla decisione, manifestata da Gregorio IX con la bolla “Quo elongati”, di subordinare all’approvazione papale l’ingresso dei frati nei monasteri di monache, constatato che tale provvedimento avrebbe resa più difficoltosa la cura spirituale delle sorores, mandò a riferire al ministro generale dei frati:

 
Ci tolga d’ora in poi tutti i frati, dal momento che ci ha tolto quelli che ci offrivano il nutrimento vitale ”.
(LegsC 24, FF. 3232)

 
L’episodio è commentato da C. G. Cremaschi nell’articolo Chiara nella Chiesa, apparso sulla rivista Vita Minorum, fasc. 2-3 del 2013: “Non avendo più frati questuanti, le sorelle fanno praticamente lo sciopero della fame. Il senso dell’agire di Chiara va oltre il desiderio della predicazione dei frati per un migliore ascolto della Parola di Dio: trattando san Damiano come gli altri monasteri, il Papa misconosce l’appartenenza di Chiara e delle sorelle alla fraternitas dei minori, l’originario reciproco rapporto esistente tra loro che è costitutivo del carisma. (…) È quindi evidente che la pianticella di Francesco vuole stare nella chiesa, ma nello stesso tempo chiede ascolto da parte della gerarchia, per poter vivere quanto si sente chiamata a testimoniare e ha fermamente promesso”.

 
Chiara donna grata, gioiosa, concreta, capace di sguardo trasfigurato perché specchiatasi nella pura gratitudine che è Cristo, l’eterno Amato.

Chiara alla “mezzanotte” dell’incontro con lo Sposo potrebbe dire: «Eccomi! Sono grazie…». E nessuno, neppure gli angeli, si alzerebbe a contestare questa identità proclamata.

(B. Cagnola, Eccomi! Sono grazie… La gratitudine per la vita e per la morte, in Vita Minorum, Anno LXXXIII, n. 1-2, gennaio-aprile 2012).
 

"Va' secura in pace,
però che haverai bona scorta,
però che quello che te creò, 
innanti te sanctificò,

et poi che te creò mise in te lo Spirito Sancto,
et sempre te ha guardata como la matre lo suo figliolo lo quale ama".
Et agionse:
"Tu, Signore, sii benedecto, lo quale me hai creata".

 
 



[1] Tutte le citazioni clariane lato sensu sono tratte dalle Fonti Francescane, III edizione rivista e aggiornata, Editrici Francescane, 2011.
[2] Negli scritti di Chiara il Cantico dei Cantici, testo che celebra l’alleanza sponsale tra Dio e il Popolo, viene citato ben 11 volte. 


 


 

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