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La venerabile clarissa Francesca Farnese

La venerabile clarissa Francesca Farnese (1593-1651) è una delle figure rappresentative della spiritualità del Seicento in cui l’affezione a Gesù e Maria si esprime anche attraverso la poesia, ossia un genere letterario privilegiato dai mistici in cui partecipazione emotiva e passionalità sono ben presenti.


Alla Madre S. Chiara
 
Ti saluto di Dio Sposa
Vergin sacra, e gratiosa
Degna pianta de’ Minori,
a noi porgi i tuoi favori.
 
Tù sei vaso puro, e netto
A Giesù caro, e diletto,
tù sicura, certa, e fida
alle figlie tue sei guida.
 
Chiara santa, Chiara Bella,
più lucente d’ogni stella,
cuopri noi con il tuo velo,
et al fin guidaci al Cielo.

 
Nella gloriosa Assunzione di Maria
 
Chi vuol veder MARIA salir’ al Cielo,
appoggiata à colui ch’il ciel governa,
lo sguardo fiso, al Paradiso
volga senza tardar.
 
O come leggiadretta, e gratiosa,
quasi nascente Aurora in alto sale
il puro seno di gratie hà pieno,
per spanderle qua giù.
 
Bello più della Luna il suo bel volto,
del sol più eletta, e di maggior splendore,
lo sguardo è tale, ch’occhio mortale
non lo può sofferir.
 
Di gloria, e di beltade è colma in guisa
Più di niun’altra pura creatura,
che Divin Core, ha del su amore
fatto dolce prigion.
 
La Corona Real, che il biondo Crine
Gli adorna, e cinge la verginea fronte
Fatta di Stelle, assai più belle,
che non è il Sol quà giù.
 
L’Imperial Veste è di sì chiara luce,
c’humano sguardo in lei non può fissarsi,
se pria purgato, e confortato
non è dal Creator.
 
Di tante gemme adorno il suo bel volto,
la testa, il petto, e la verginea gola,
chogn’un s’ammira, e l’occhio gira
lieta verso di lei.
 
Così piena di gratie al Ciel sen’ vola,
per pigliar di quel Regno il gran possesso,
che preparato dal Figlio amato,
gli fu con gran ragion.
 
O come ad incontrarla in mille schiere
Vengan dal Ciel i Cittadini eletti,
Ciaschun l’honora, Lieto, e l’adora
Come Madre di Dio.
 
Con mille applausi, e con Celeste honore,
con canti, e suoni, e con letitia, e festa
grida ogn’un Viva Viva la Diva
Madre del nostro Rè.
 
Viva, viva pur sempre, e regni in Cielo,
regni e domini sopra l’Abisso, 
la riverisca, e l’obedisca
Ciò che creato hà Dio.
 
Con tai voci d’honore, e d’allegrezza
alla destra del Figlio è collocata,
dove risiede, e fa mercede
a chi ricorre à lei.
 
Noi dunque à lei, come à Signora nostra
corriam con fede humiliate, e chine,
chiediamogli in dono, ampio perdono
d’ogni nostro fallir.

 
Da: Poesie sacre composte dalla molto Rev. Madre suor Francesca di Giesu  Maria Fondatrice delli Monasterij di Santa Maria delle Gratie di Farnese e della Santiss. Concettione di Albano, e di Roma e Riformatrice del Monasterio di santa maria degli Angioli di Pelestrina, Roma 1659, pp. 101-102.
 
Una seconda poesia sempre dedicata all’Assunta la si può leggere in http://www.cristianocattolico.it/rassegna-stampa-cattolica/formazione-e-catechesi/la-venerabile-francesca-farnese-in-onore-di-maria-assunta.html
 
Alla Vergine Santissima
Vergine dolce, e pia,
purga questo mio core,
e fa che l’anima mia 
arda del sant’amore.
 
O Vergine gloriosa
dolcezza del mio cuore,
sij verso me pietosa,
donami il sant’amore.
Vergin, tu quella sei,
c’hai le chiavi del core
deh adempi i desir miei,
dammi, deh dammi amore.
 
Vergine benedetta,
madre del mio Signore
questo mio cor’aspetta
del tuo figliol l’amore.
 
O Vergine amorosa,
deh prega il mio Signore,
poiché mi fè sua Sposa,
m’arda del sant’amore.
 
Vergine tutta bella,
del ciel gloria, e splendore
l’alma mia poverella
ti chiede il sant’amore.
 
Vergine Immacolata
Del popol nostro honore
Concedi a quest’ingrata
Del tuo figliol l’amore.
 
Vergin del Ciel Regina
Prestami’l tuo favore
Fa che st’alma meschina
Tutt’avampi d’amore.
 
Vergine Madre, e Sposa
Del Sommo Imperatore
A te mi volgo ansiosa,
e chiedo il sant’amore.
 
O Vergin, ch’Avvocata
Sei d’ogni peccatore,
impetra che piagata
io sia del sant’amore.
 
Vergine cara, e diletta
Al sovrano Fattore
A me tua serva abietta
Dona il celeste amore.
 
Vergine che Madre sei
di pietà, e d’amore
ascolta i prieghi miei,
donami il sant’amore.
 
Vergin di gratia piena
Prestami’l tuo favore 
Riguarda la mia pena,
fammi abbrugiar d’amore.
 
Vergin del Sol vestita,
tanto cara al Signore,
io povera, e sbandita,
ti chiedo il sant’amore.
 
Vergin scala del Cielo,
deh mira questo core
rompi il suo duro gelo,
e fallo arder d’amore.
 
Da: Poesie sacre composte dalla molto Rev. Madre suor Francesca di Giesu  Maria Fondatrice delli Monasterij di Santa Maria delle Gratie di Farnese e della Santiss. Concettione di Albano, e di Roma e Riformatrice del Monasterio di santa maria degli Angioli di Pelestrina, Roma 1659, pp. 106-107.
 
FARNESE, Francesca
Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 45 (1995)
di Stefano Andretta
 
FARNESE, Francesca (al secolo Isabella). - Nacque a Parma il 6 genn. 1593 dal duca Mario del ramo farnesiano di Latera e da Camilla Meli Lupi dei marchesi di Soragna. Affidata alla nonna materna Isabella Meli Lupi nata Pallavicino, la F. soggiornò nella corte parmense sino agli otto anni. La sua infanzia ebbe un decorso non propriamente felice e fu determinante nel forgiare alcuni caratteri della sua personalità umana e culturale. In sintonia con le scalpitanti aspirazioni dei genitori di accrescere il lustro familiare di un ramo minore ma in rapida ascesa, venne destinata inizialmente a un matrimonio nobile ed onorevole.
 
A tal fine la F. ebbe un'educazione tipicamente cortigiana nell'ambiente colto, mondano e raffinato di cui si circondava la Pallavicino. Imparò ben presto e con profitto a leggere, scrivere, suonare, ballare, recitare: in particolare manifestò una particolare predilezione per la letteratura. Romanzi cavallereschi e di corte, Torquato Tasso, soprattutto, e le Metamorfosi di Ovidio ebbero un posto privilegiato nelle sue letture.
 
Tuttavia i progetti familiari sulla piccola F. vennero completamente mutati dal vaiolo che ne aggredì il volto e da un incidente domestico che aggravò ulteriormente la situazione. Così, irrimediabilmente sfigurata, la nonna materna la rimandò dai genitori prima a Farnese e poi a Roma. Qui, dopo un breve periodo trascorso in famiglia dove apprese in modo irregolare alcune nozioni di botanica ed iniziò ad accostarsi alla letteratura devota, le venne probabilmente imposto dal padre di entrare nel monastero delle clarisse di S. Lorenzo in Panisperna. In questo luogo, consono alle sue condizioni nobiliari, venne affidata alle cure della zia, sorella di Mario Farnese, la temuta e severa badessa suor Francesca. Il 21 apr. 1602, a soli nove anni, vi fece il suo ingresso.
 
Il primo periodo fu particolarmente penoso per la F., insofferente agli aspetti più severi della regola: faticava a sottostare alle privazioni e ai patimenti a cui era sottoposta dalla zia. Solo con la morte di quest'ultima, poté godere di un clima più rilassato che, con alcuni facili e forse tollerati espedienti, le permise di coltivare amicizie adolescenziali all'interno dei monastero e soprattutto di perseverare nell'attrazione per i libri profani.
 
Nel maggio del 1607 la F. ritornò in famiglia e, in un clima sovreccitato per il matrimonio della sorella Giulia con il prirIcipe Giovanni Albrizzi, si dedicò alle attività mondane con convinzione. Studiò musica, imparò i rudimenti per suonare l'organo, il clavicembalo e altri strumenti, continuò a disegnare, a coltivare le lettere, a comporre con facilità poesie e commedie e a parlare il latino in forme eleganti. La morte di una persona, rimasta ignota, di cui si era probabilmente invaghita, la rese più disponibile ad un rientro il 7 dicembre dello stesso anno nel monastero di S. Lorenzo in Panisperna per cominciare l'anno del noviziato, assumendo il nome di suor Francesca. Per tredici mesi sino alla professione (8 genn. 1609) fu in balia di ripensamenti, tentazioni, malinconie e disturbi fisici che le impedirono spesso le pratiche di penitenza e di vita comune.
 
Da professa, comunque con un rango distinguibile e spesso arrogantemente riaffermato, la F. continuò a coltivare le discipline della sua infanzia e adolescenza aggiungendovi l'astrologia e rivelando intorno al suo spiccato e vivacissimo temperamento doti di animatrice culturale all'interno del ristretto mondo claustrale. In compagnia della sorella Vittoria, anch'essa destinata al monastero, si impose nella piccola comunità. Secondo lo stereotipo della santità eroica barocca, dopo un lungo travaglio interiore, si avviò decisamente verso un rigore devozionale crescente che non abbandonera mai più, incoraggiata in ciò dall'austerità e dall'influenza del padre confessore Giovanni Battista Bianchetti. Si sbarazzò di libri e manoscritti profani, rinunciò ai privilegi della propria condizione di monaca nobile e ricca, all'entrata annua paterna, agli abiti più ricercati, agli oggetti personali superflui, alla camera "adornata di quadri di valuta" per una più sobria "per tenere staccato l'affetto dalla robba". Seguendo i dettami di una diffusa cultura mistica, si diede a praticare l'orazione mentale e ad incrudelire le mortificazioni fisiche trascurando il sonno con veglie defatiganti, battendosi 'rigorosamente "in particolare ne' giorni di venerdì", portando continuamente "il cilitio fatto di catenelle di ferroc questo modo di vivere troppo rigido e "non praticato" provocò notevoli dissapori sui criteri di conduzione della vita claustrale tra le sue stesse consorelle che vedevano i rischi di snaturamento delle consuetudini, in verità più duttili, che caratterizzavano i monasteri romani.

Diffidenze nei confronti del padre confessore (che fu allontanato), aperte insofferenze sulla durezza del regime spirituale da lei prescelto e ricercato che aveva il suo centro in un crescente e parossistico desiderio di solitudine, plasmato sulla delicatissima "unione con Dio", furono determinanti nel farle maturare la convinzione di trasferirsi altrove per poter liberamente seguire uno stile di vita più severo e di assoluta spiritualità.
 
Desiderosa di estrinsecare le sue capacità interiori ed esteriori di fondatrice e riformatrice, dopo una fitta corrispondenza con il padre Mario, del resto non alieno dal considerare il prestigio familiare che sarebbe derivato dall'inaugurare ex novo un'istituzione religiosa così significativa nelle sue terre, la F. riuscì a convincerlo a cederle il convento dei frati minori e l'annessa chiesa di S. Rocco in Farnese per destinarli a lei e alle clarisse disposte a seguirla. Tormentata dall'idropisia, si trasferì il 9 maggio 1618 con l'incarico di maestra delle novizie nel convento che ebbe il nome di S. Maria delle Grazie e che venne posto sotto la guida di suor Violante Farnese, altra sorella di Mario, e di suor Virginia degli Atti (provenienti dal monastero di S. Elisabetta di Amelia) per avviare con una matura direzione la nuova fondazione.
 
La sua ostinata ricerca di una via originale di spiritualità interiore, fondata sempre più sulla povertà assoluta, sull'anacoresi primitiva e contemporaneamente sulla volontà di una "stretta riforma" e sull'inasprimento delle mortificazioni (tali da provocare, peraltro, seri danni alla salute delle novizie), si esplicò più tardi in una conflittualità con il padre e, alla sua morte, con il fratello Diofebo circa l'organizzazione della vita religiosa, giudicata dalla F. non sufficientemente penitenziale.
 
Privata dell'incarico di maestra delle novizie per la sua avversione alla badessa e al confessore, quando si pose la questione della compilazione delle costituzioni per il "reggimento" del monastero la F. contrastò però con successo le diverse versioni proposte, affermando il suo forte ascendente sino a modificare addirittura le volontà familiari propense all'approvazione di una regola meno dura. Dopo tre redazioni delle costituzioni rimaste senza seguito, l'avvento al vescovato di Castro di Alessandro Carissimi fu decisivo per l'attività riformatrice della Farnese. Questi infatti, colto e amante delle lettere latine, cresciuto anch'egli in Parma, venne affascinato dalla personalità della F. e stabilì con lei un rapporto privilegiato di fiducia. Il 12 maggio 1625 affidò alla F., divenuta vicaria del monastero, con una procedura davvero inusuale trattandosi di una donna, il compito di redigere le costituzioni che, , fondate sulla regola di s. Chiara approvata da Urbano IV, videro inasprire le penitenze, l'esercizio del silenzio e diradarsi quasi completamente le possibilità di contatto con l'esterno, giustificando così il soprannome di "sepolte vive" che caratterizzerà da quel momento le clarisse farnesiane. Convinte altre due sorelle a monacarsi, venne eletta badessa e l'organizzazione del monastero fu definitivamente approvata da un breve del 13 luglio 1638 di Urbano VIII.
 
Nel frattempo la fama e il favore che le sue pratiche religiose incontravano in un certo sentire devozionale barocco che prediligeva i modelli morbosi di raggiungimento della perfezione cristiana, stimolarono ancor più il forte temperamento della Farnese. Venne chiamata dalla principessa di Albano, Caterina Savelli, che desiderava la fondazione di un convento di clausura nella sua città. Incontrò Giacinta Marescotti, fu attivissima presso le nobildonne del patriziato romano, si garantì la protezione di Francesco Barberini per tutti i monasteri delle clarisse da lei fondati e riformati. Il 18 marzo 1631 fondò il monastero della Concezione di Albano e, non lontano, favorì la costruzione di una casa comunitaria maschile dove preparare i confessori destinati alla guida spirituale delle monache. Nel 1638 riformò il monastero di S. Chiara a Palestrina ponendovi come badessa l'anno successivo la sorella suor Isabella, appositamente fatta venire da Farnese, e ottenendo dal principe Taddeo Barberini una nuova e più adatta sede. La F. coronò la sua opera con la fondazione di un monastero a Roma al rione Monti: infatti, grazie all'intervento finanziario dei Barberini, della principessa Felice Zacchia Rondanini e della principessa Maria Peretti fu possibile giungere ben presto all'edificazione del monastero della Ss. Concezione (scomparso in seguito agli sventramenti urbanistici postunitari), inaugurato ufficialmente con un breve apostolico il 2 giugno 1643.
 
In questo monastero la F. rimase sino alla morte, avvenuta in concetto di santità, il 17 ott. 1651, circondata oltre che dalle consorelle, da Camilla Savelli, Olimpia Aldobrandini e altre nobildonne romane: il funerale venne celebrato dal cardinale Francesco Barberini.
 
Insieme con la carmelitana Vittoria Colonna (Chiara della Passione) la F. costituisce una delle personalità più rilevanti dell'ambiente religioso e monacale romano in epoca prequietista. Ci si trova effettivamente di fronte ad una complessa e contraddittoria personalità che si colloca nel filone della mistica seicentesca influenzata da s. Teresa d'Avila e s. Giovanni della Croce: tuttavia, accanto ad uno spiritualismo rigorista, si sviluppò un abile attivismo sostenuto da una cultura aristocratica di buon livello e da doti carismatiche non indifferenti.
 
Inoltre, la F. mutò il suo destino di giovane nobildonna sfortunata e di monacasubiecta in una devozionalità totale non priva di ambiguità e comportamenti inquietanti, la cui accettazione è sostanzialmente legata alla protezione barberiniana, ove realizzare il proprio temperamento leaderistico e la propria intelligenza, di cui aspetto non secondario fu la sua produzione letteraria di uno spiccato lirismo mistico e cristocentrico. Poetessa non priva di talento e di genuine ispirazioni, dopo la prima edizione (Pie e divote poesie, Roma 1654) il suo Canzoniere ebbe sette edizioni arricchite però da altre poesie sacre, non di sua mano, composte dalla sorella Isabella e da altre religiose dei suoi istituti a cui si e aggiunta recentemente la scoperta di altre liriche, pubblicate dal Baffioni, mentre le Constitutioni vennero pubblicate per la prima volta nel 1640 in Roma.
 
Opere: Per una esauriente e puntuale informazione bibliografica delle opere della F.: G. Baffioni, Liriche sacre inedite di F. F., estr. da Atti e mem. dell'Arcadia, s. 3, VI (1973), pp. 11 s. Qui, oltre alla produzione poetica e alle Costituzioni, sono fornite preziose indicazioni sugli editi e inediti riguardanti meditazioni sacre, lettere e brevi discorsi spirituali, esortazioni e ricordi, trattatelli comportamentali per le novizie, epistolari in gran parte conservati attualmente nei monasteri di Albano, Farnese e Palestrina. Tuttavia, la fonte più importante per la ricostruzione biografica della F. è senz'altro quella del canonico di S. Lorenzo in Damaso Andrea Nicoletti, al servizio del cardinale Francesco Barberini che gli commissionò e finanziò la stampa della Vita della venerabile madre suor F. F. detta di Gesù Maria dell'Ordine di S. Chiara,fondatrice delli monasterii di S. Maria delle Gratie di Farnese e della Ss. Concettione di Albano e di Roma e riformatrice delmonasterio di S. Maria degli Angeli di Palestrina, Roma 1660. In essa sono riportate numerose lettere e brani autobiografici superstiti alla loro distruzione ordinata dalla stessa Farnese. Di tale opera fu fatta una seconda edizione nel 1678 sempre a Roma. Inoltre una cospicua appendice alla Vita, rimasta manoscritta, riguarda soprattutto gli eventi soprannaturali e miracolosi attribuiti alla F. prima e dopo la sua morte che fanno fortemente sospettare l'intenzione di istruire un processo di beatificazione della F. presso la congregazione dei Riti, che però non ebbe alcun seguito positivo. Di essa sono reperibili due copie: Parma, Biblioteca Palatina, Ms. Farn. 3752, cc. 1-188, Bibl. ap. Vaticana, Barb. lat. 4529, cc. 1-195.

 
Fonti e Bibl.: G. Gigli, Diario romano (1608-1670), a cura di G. Ricciotti, Roma 1958, pp. 391 s.; B. Mazzara, Leggendario francescano, II, 2, Venetia 1680, pp. 132-186; P. Mandosio, Bibliotheca Romana..., Romae 1692, pp. 80 ss.; G. M. Crescimbeni,L'istoria della volgare poesia, IV, Venetia 1730, pp. 204 ss.; F. M. Annibali, Notizie storiche della casa Farnese..., I, Montefiascone 1817, pp. 92-98, 102; II, ibid. 1818, p. 156; G. Canonici Fachini, Prospetto biografico delle donne italiane rinomate in letteratura, Venezia 1824, p. 152; I. H. Sbaralea, Supplementum et castigatio trium Ordinum S. Francisci..., I, Romae 1908, p. 254; M. Castiglione Umani, Una riformatrice francescana nella casa dei Farnese, in Frate Francesco, III (1929), pp. 192-203; B. Croce, Donne letterate del Seicento, in Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari 1931, p. 158; M. Bosi, La serva di Dio Camilla Virginia Savelli Farnese, Roma 1953, pp. 24, 26, 40-46, 60; G. De Dominicis, Suor F. F. (1593-1651), in L'Italia francescana, XXXII (1957), pp. 339-344; O. Montenovesi,Chiese e monasteri romani. Il monastero della Concezione ai Monti, in Archivi, XXVI (1959), 4, pp. 313, 315 s., 320, 324, 326 s., 329, 335 ss.; San Carlo da Sezze,Opere complete, a cura di R. Sbardella, I, Roma 1963, pp. 552 s.; S. Gori, La venerabile F. F. (1593-1651), in Frate Francesco, XXXII (1965), pp. 69-77, 129-136; Stanislao da Campagnola, I Farnese e i cappuccini nel Ducato di Parma e Piacenza, in L'Italia francescana, XLIV (1969), p. 75; F. De Angelis, Monasteri federati delle clarisse del Lazio, Roma 1972, pp. 26 ss.; L. Fiorani, Monache e monasteri romani nell'età del quietismo, in Ricerche per la storia religiosa di Roma, I, Roma 1977, pp. 63, 68, 80, 86, 88 ss.; F. Petrucci Nardelli, Il card. Francesco Barberini senior e la stampa a Roma, in Arch. della Soc. rom. di storia patria, CVIII (1985), pp. 170, 187; Minimus Laterensis [A. Rossi], Latera, la sua storia..., Latera 1990, pp. 98 s.; M. Rosa, La religiosa, in L'uomo barocco, Bari 1991, pp. 234-237; S. Andretta, La venerabile superbia. Ortodossia e trasgressione nella vita di suor F. F., Torino 1994;Dizionario degli Istituti di perfezione, III, coll. 1415 s.; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Farnesi, tav. IX; G. Moroni, Diz. di erud. stor.-ecclesiastica, ad Indicem.
 
Per un approfondimento:
 
Da santa Chiara a suor Francesca Farnese. Il francescanesimo femminile e il monastero di Fara in Sabina, a cura di S. Boesch Gajano e T. Leggio (Sacro/santo, 21), Viella, Roma 2013.
 
Vita della venerabile madre suor F. F. detta di Gesù Maria dell'Ordine di S. Chiara,fondatrice delli monasterii di S. Maria delle Gratie di Farnese e della Ss. Concettione di Albano e di Roma e riformatrice del monasterio di S. Maria degli Angeli di Palestrina scritta da Andrea Nicoletticanonico di San Lorenzo in Damaso, Roma 1678. 
 
Poesie sacre composte dalla molto Rev. Madre suor Francesca di Giesu  Maria Fondatrice delli Monasterij di Santa Maria delle Gratie di Farnese e della Santiss. Concettione di Albano, e di Roma e Riformatrice del Monasterio di santa maria degli Angioli di Pelestrina, Roma 1659.

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