Chiara e... la povertà

Siamo giunti al nostro settimo appuntamento con la rubrica annuale “Chiara e…”, a metà del cammino, e con tutta la portata del significato biblico del numero 7: totalità e completezza! Ci troviamo al cuore del discorso, lì dove, più che mai, l’identità delle Sorelle di San Damiano si svela in tutta la sua radicalità: la questione della povertà.
 
Nella pergamena originale della "Solet Annuere", testo che contiene la Forma vitae (la Regola di vita scritta da Chiara e le Sorelle e approvata pochi giorni prima della morte della Santa), conservata al Protomonastero di Assisi, il capitolo sulla povertà occupa, delle 50 righe dell’intera Regola, le righe 23-27. Concretamente siamo nel mezzo del testo della pergamena. Certamente il luogo più protetto dall’usura del tempo, in base alle consuete piegature, ma anche il cuore pulsante di un’esperienza, il centro di tutta una vita vissuta in cui Chiara, insieme alle Sorelle, individua i cardini fondamentali di un carisma che sa aver ricevuto come dono dal Signore e come eredità da Francesco.
 
Vale la pena leggere per intero il Capitolo Sesto della Regola:
 
«Dopo che l’altissimo Padre celeste per sua grazia si fu degnato di illuminare il mio cuore, perché seguendo l’esempio e l’insegnamento di Francesco facessi penitenza, poco dopo la sua conversione, insieme con le mie sorelle volontariamente gli promisi obbedienza. (…) E affinché in nulla deviassimo dalla santissima povertà che avevamo scelto, e nemmeno quelle che sarebbero venute dopo di noi, poco prima della sua morte di nuovo scrisse per noi la sua ultima volontà dicendo: “Io frate Francesco piccolino voglio seguire la via e la povertà dell’altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre e perseverare in esso sino alla fine. E prego voi mie signore e vi consiglio che viviate sempre in questa santissima via e povertà. E guardatevi molto di non allontanarvi mai da essa in alcun modo per l’insegnamento o consiglio di alcuno”. E io fui sempre sollecita insieme alle mie sorelle di custodire la santa povertà che abbiamo promesso al Signore Dio e al beato Francesco, così le abbadesse che mi succederanno nell’incarico e tutte le sorelle siano tenute ad osservarla inviolabilmente fino alla fine: cioè nel non ricevere o avere possesso o proprietà direttamente né per mezzo di interposta persona, o anche qualcosa che legittimamente si possa dire proprietà, se non quel tanto di terra che richiede la necessità per il decoro e l’isolamento del monastero; e quella terra non venga lavorata se non come orto per la loro necessità».
 
Chiara abbraccia, e difende, a tutti i costi quella povertà materiale che tanto era disprezzata nella società medievale. La fatica, il lavoro manuale, tribolazioni, una vita senza sicurezze, freddo, fame, incomprensione anche ecclesiale, ostilità dei propri familiari, erano tutte situazioni riprovevoli ed, eventualmente, riservate ai minores, a chi non contava nulla. Chiara invece in tutto ciò vedeva risplendere la bellezza del suo Sposo, il mistero dell’abbassamento del Figlio di Dio che rinuncia alla gloria per divenire servo. Scrive ad Agnese di Boemia: “Vedi che egli si è fatto per te spregevole e seguilo, fatta per lui spregevole in questo mondo. Guarda, o regina nobilissima, il tuo sposo, il più bello tra i figli degli uomini, divenuto per la tua salvezza il più vile degli uomini, disprezzato, percosso e in tutto il corpo più volte flagellato, morente tra le angosce stesse della croce: guardalo, consideralo, contemplalo, desiderando di imitarlo”  (2LAg 19-20).
 
La kenosi del Figlio di Dio è il fondamento della povertà francescana, che da subito Chiara e le Sorelle sentono essere fortemente minacciata da chi, come la Chiesa, desiderava proteggerle da un sogno che, agli occhi dei più, appariva troppo alto, troppo difficile, se non impossibile. 
 
Ecco dunque che Chiara, ponendolo al cuore della Forma vitae, affida il desiderio di vivere in altissima povertà e senza proprietà in comune alla Sede Apostolica; lo consegna come valore identitario, imprescindibile e non negoziabile, affinché il dono della vocazione tramandatagli da Francesco non venga tradita. È il tesoro da custodire gelosamente e da difendere da ogni insidia. 
 
Come leggiamo nel testo della Regola sopra citato, è lo stesso padre Francesco che prega le “sue” signore che ricevano come eredità questa sua ultima volontà; la preoccupazione di Francesco si estende anche alle sorelle future, “quelle che sarebbero venute dopo di noi”, a dire che in ogni tempo sarebbe stato necessario vigilare, e magari anche lottare, per difendere il tesoro della povertà.
 
La povertà definita “santissima”, “beata”, “santa”, “pia”, “somma”, “che dà stupore” (cfr 1Lag 15-17; 2LAg 6; 4LAg 20-21), era il sigillo del carisma francescano che ormai le Sorelle di S. Damiano, più dei frati, custodivano integralmente. Era quanto Chiara aveva abbracciato con gioia all’inizio e non aveva mai voluto abbandonare per non omologarsi alle altre realtà monastiche. Il prezzo sarebbe stato per lei troppo alto: abbandonare la radicalità evangelica. “Seguire la via e la povertà” del Signore Gesù e della sua santissima Madre equivale, per Francesco e Chiara, a “vivere secondo la forma del santo Vangelo”. L’irrinunciabile meta del Vangelo, dà a Chiara la forza di lottare contro papi e vescovi che, con sante intenzioni, non concepivano una vita in completa povertà.
 
Chiara e le sorelle, a più di vent’anni dalla morte di S. Francesco, diventano eredi fedeli di un carisma che sappiamo difficile da vivere e far comprendere in quel momento storico: l’Ordine dei frati, anche con l’intervento della Curia papale, stava prendendo ormai altre strade che, soprattutto, mitigavano la povertà. 
 
All’interno di questo capitolo fondante della Forma vitae, la Santa sente il dovere di specificare il contenuto materiale della santa povertà: “cioè nel non ricevere o avere possesso o proprietà direttamente né per mezzo di interposta persona”. Conosce bene il rischio, e lo vede in atto nei cambiamenti nell’Ordine dei minori, che la povertà si trasformi in un fatto unicamente interiore e individuale. Se per i frati, Ordine itinerante, il “pericolo” è il ricevere e accumulare denaro, per una comunità stabile, quale è quella di San Damiano, il “pericolo” è certamente il possesso di terreni che garantiscano sussistenza e rendite. È per questo che Chiara permette di ricevere denaro in elemosina, ma è intransigente sul possesso di beni immobili: era tradire la volontaria assimilazione alla classe sociale dei minores.

In queste poche righe della Forma vitae è racchiuso il contenuto di quello che è comunemente chiamato il Privilegio della povertà, ovvero la novità dell’esperienza delle sorelle di San Damiano all’interno della Chiesa: il diritto a non possedere. Abbiamo notizia di questa concessione nella bolla Sicut manifestum di papa Gregorio IX (1228) la cui pergamena originale è anch’essa conservata al Protomonastero di S. Chiara in Assisi. La data dell’approvazione ci è nota dal documento stesso anche se certamente la richiesta, da parte di Chiara e le Sorelle, risaliva a molto prima, senz’altro al tempo di papa Innocenzo III, da cui si pensa fosse giunta un’approvazione soltanto orale.

Riportiamo qui la parte più significativa della bolla: “Come è manifesto, desiderando dedicarvi solo al Signore, avete respinto la brama delle cose temporali. Perciò venduto tutto e distribuito ai poveri, vi proponete di non avere assolutamente alcuna possessione (…). Secondo la vostra supplica, quindi, corroboriamo con l’approvazione apostolica il vostro proposito di altissima povertà, accordandovi con l’autorità della presente lettera di non poter essere costrette da nessuno a ricevere possessioni”. (Priv. FF: 3279).
 
A tale radicalità però fa eco una delicatissima apertura dal sapore umano e materno: “se non quel tanto di terra che richiede la necessità per il decoro e l’isolamento del monastero; e quella terra non venga lavorata se non come orto per la loro necessità”. Ecco l’eccezione! E’ stupendo l’equilibrio di Chiara che non fa, neanche della povertà, un idolo. Un monastero di sorelle recluse aveva bisogno di uno spazio esterno che garantisse il silenzio e la riservatezza. Ecco la “via di mezzo” tra lo spirito francescano e monastico, tra l’insicurezza per la sequela e la sicurezza per la contemplazione. L’importante è che si possieda tanta terra, quanta ne richieda il fabbisogno quotidiano, evitando ogni sovrappiù!
 
 A cura del Monastero "S. Agnese" di Montone PG

FOTO: Bolla Papale "Solet Annuere" contenente la Regola di S. Chiara, e la Bolla Papale "Sicut Manifestum" in cui si riconosce a S. Chiara e allle sue sorelle il "Privilegio della povertà".

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