Ma insomma, per i contadini delle campagne intorno, per i mercanti e gli artigiani che lavorano nelle botteghe della città, per i poveri che si arrabattano faticosamente per procurarsi qualcosa da mangiare, non dovrebbe essere una notizia così importante. O no? Se leggiamo la
Legenda di Santa Chiara scopriamo che le cose andarono diversamente:
“La notizia della morte della vergine scosse, cosa incredibile, tutto il popolo della città. Giungono a San Damiano gli uomini, giungono le donne e lo riempie tanta moltitudine di gente che la città sembra essere rimasta abbandonata. Tutti la proclamano santa, tutti cara a Dio e, tra le parole di lode, non pochi si mettono a piangere" (LegSC 47; FF 3255).
Questa donna ha vissuto buona parte della sua vita “fuori dal mondo”, eppure è nota e cara a tanti. Come mai? Che rapporto aveva Chiara d’Assisi col popolo?
Prima però è necessaria una precisazione.
Chi era “il popolo”? Agli inizi del XIII secolo la società era divisa in due gruppi principali: i maiores e i minores. I primi, “maggiori”, erano i nobili, cui tradizionalmente competeva il governo; i secondi, “minori”, erano tutti gli altri, a prescindere dalla ricchezza o dalla povertà. Qui nascevano i problemi perché quei
minores che si erano arricchiti reclamavano anche un ruolo nel governo della città – e talvolta provavano anche a prenderselo con le armi. Se con la parola “popolo” intendiamo “quella parte della società contraddistinta dall’assenza o dalla relativa scarsità di potere e di ricchezza” (
Dizionario di filosofia, 2009), possiamo identificarlo con i
minores, o meglio con la parte più numerosa di loro: persone non particolarmente ricche, che vivevano del loro lavoro, e i poveri. Che rapporto aveva Chiara con loro, e viceversa?
Chiara non apparteneva al popolo, era nobile. Come tale, poteva prendersi cura dei più poveri del popolo, poteva essere d’esempio. Ma confondersi col popolo, questo proprio no. Va detto che Chiara era “famosa” in Assisi ben prima della sua “folle scelta” di seguire Cristo povero sull’esempio di Francesco e dei suoi frati. Primogenita di una famiglia nobile, era inevitabile che molti occhi fossero puntati su di lei. In più, come testimoniano al Processo di canonizzazione le sue prime compagne, già quando viveva nella casa paterna
“tutti i cittadini la avevano in grande venerazione” per il suo modo di vivere (
Proc 1,3; FF 2927),
“per la sua molta onestà, benignità e umiltà” (
Proc 2,2; FF 2945).
I testimoni laici precisano ulteriormente in cosa consistesse questa onestà di vita:
“li cibi, li quali essa diceva mangiare, essa li mandava alli poveri” (
Proc 17,1; FF 3123);
“degiunava, orava, faceva de le elemosine quanto poteva e voluntieri. E quando stava a sedere con quelli di casa sempre voleva parlare de le cose de Dio ” (
Proc 18,3; FF 3133); “
vendette tutta la sua eredità e la dette a li poveri” (
Proc 19,2; FF 3139).
Certo, la cura dei poveri era un impegno abbastanza comune fra le donne nobili, ma Chiara vi si coinvolge in modo particolare perché non si limita a dare il superfluo, ma i cibi a cui lei stessa rinuncia.
Chiara non vive in mezzo al popolo, ma fino dalla sua infanzia sa che nella sua città ci sono persone che non hanno da mangiare e impara a soccorrerle concretamente. Tramite l’amica Bona di Guelfuccio manderà del denaro
“a quelli che lavoravano in Santa Maria de la Porziuncola (probabilmente Francesco e i suoi compagni)
ad ciò che comperassero de la carne” (
Proc 17,7; FF 3129): delicatezza di pensare che degli uomini che fanno un lavoro pesante hanno bisogno di mangiare qualcosa di sostanzioso! Tuttavia, non voglio soffermarmi qui su una descrizione della vita di Chiara, quanto sottolineare come questo suo comportamento fosse noto.
La giovane Chiara degli Offreducci godeva di quella “buona fama” che era tanto importante nel suo tempo.
Quando Chiara fugge da casa per seguire Cristo povero come vedeva fare da Francesco e dai suoi compagni, cambia anche posizione sociale, scegliendo di vivere come i più poveri del popolo. Beninteso, non era questo il suo scopo principale, ma per seguire Gesù che si è fatto povero per noi anche lei si spoglia delle sue ricchezze e della sua nobiltà. Non dobbiamo pensare che questa scelta sia stata apprezzata, almeno all’inizio; parlando dei primi tempi, nel suo
Testamento Chiara scrive:
“non ricusavamo nessuna indigenza, povertà, fatica, tribolazione o ignominia e disprezzo del mondo” (
Test 27; FF 2832). Se sappiamo che i parenti nobili non potevano capire né accettare la scelta di una condizione così umile, è lecito pensare che anche fra il popolo sia stata reputata una follia. Chiara deve essere stata sulla bocca di molti in Assisi e con commenti certo non benevoli! Col passare del tempo le opinioni negative cedettero il passo alla stima e alla venerazione:
l’esempio di Chiara attirava altre giovani, fra cui numerose nobili; Francesco, che le aveva “fatte uscire dal mondo”, era sempre più conosciuto e apprezzato dalle più alte autorità ecclesiastiche, Papa compreso;
quella che all’inizio era sembrata una pazzia, si dimostrava essere opera di Dio.
Non è immediato ricostruire il rapporto di Chiara col popolo in quei quarantadue anni che ha trascorso rinchiusa in San Damiano. I testimoni laici del
Processo sono per la maggior parte appartenenti alla nobiltà e questo non ci aiuta; tuttavia leggendo tra le righe delle fonti biografiche possiamo raccogliere diverse informazioni.
Dal popolo di Assisi Chiara e le sorelle ricevevano in elemosina il necessario per vivere, pane soprattutto. Sora Filippa ricorda che, per amore della povertà, Chiara “
amava più ricevere li pani rotti che li sani” (
Proc 3,13; FF 2979). Dietro a quei pani, volti, persone, di cui non sappiamo nulla. Possiamo immaginare che i pani interi venissero da famiglie più ricche, che avevano pane a sufficienza per elargirne ai frati che facevano la questua; e i pani rotti? Avanzi, offerti da chi non voleva far di più e forse non aveva troppa stima di quelle donne rinchiuse? O dono di chi non aveva altro da condividere?
Chiara avrà ben presente questo legame con la città di Assisi quando questa sarà in pericolo. Nel 1240, invocando la protezione del Signore davanti ai saraceni che stanno per entrare in San Damiano,
Chiara raccomanda anche la città: “Mio Signore, se ti piace, proteggi la città che ci sostenta per amor tuo” e ottiene la promessa di Cristo:
“Sosterrà gravi prove, ma sarà difesa dalla mia protezione” (
LegSC 22
; FF 3202)
. L’anno seguente, Assisi viene assediata da Vitale d’Aversa, capitano dell’esercito dell’imperatore Federico II. Chiara invita le sorelle alla preghiera come un debito di riconoscenza:
“Da questa città, carissime figlie, abbiamo ricevuto ogni giorno molti beni; sarebbe molto empio se non le prestassimo soccorso come possiamo nel tempo opportuno. (…) Andate al Signore nostro e chiedete con tutto il cuore la liberazione della città” (
LegSC 23; FF 3203). Col capo coperto di cenere, le sorelle pregano e digiunano… e l’indomani l’esercito imperiale abbandona l’assedio. Da notare che i cittadini di Assisi erano a conoscenza di questi fatti, come testimonia al processo Ranieri di Bernardo:
“fermamente si crede da tutti li cittadini che, per le orazioni e meriti della detta madonna santa Chiara fu defeso lo monasterio e la città fu liberata da li inimici” (
Proc 18,6; FF 3136).
Fin qui abbiamo visto un rapporto indiretto, ma c’è anche quello diretto.
Chiara vive rinchiusa, eppure la sua fama si diffonde e varie persone ricorrono a lei recandosi a San Damiano. Una presenza che forse non ci aspetteremmo sono i bambini. Si sparge la voce che Chiara ha il dono di guarire con il segno della croce ed ecco che alcuni genitori portano i loro piccoli malati: Mattiolo di Spoleto, tre anni, a rischio di soffocamento per un sassolino che si è infilato nel naso (
LegSC 33; FF 3220); il figlio del procuratore del monastero, di cinque anni, con la febbre alta (
Proc 3,15; FF 2981;
Proc 8,6; FF 3064); un bambino di Perugia con una macchia che gli copre un occhio (
LegsC 33; FF 3221). Non solo bambini, però: sora Cecilia racconta di
“alcuni altri li quali furono portati al monasterio a la preditta santa madre per essere curati” (
Proc 6,9; FF 3032). Tutti vengono guariti ricevendo un semplice segno di croce da Chiara. Poi ci sono mali più temibili di quelli fisici e anche questi muovono il cuore di Chiara. Sora Amata narra di una donna pisana venuta al monastero a ringraziare il Signore che l’aveva liberata da cinque demoni per le preghiere di Chiara (
Proc 4, 20; FF 3018). Sora Benvenuta da Perugia, invece, ricorda che quando Chiara veniva a sapere che qualche
“persona mundana avesse fatto qualche cosa contro Dio, essa maravigliosamente piangeva et esortava quella tale persona” invitandola a pentirsi del male commesso (
Proc 2,10; FF 2953).