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I detti del Beato Egidio d'Assisi

Alla presenza di numerosi esperti, tra cui il prof. p. Massimo Vedova e p. Bernardo Commodi, venerdì 28 marzo 2014 vi è stato un incontro di studio sulla edizione critica dei detti del beato Egidio d'Assisi, la cui vicenda s'interseca anche con quella di santa Chiara d'Assisi.

L'intervento del prof. Giovanni Paolo Maggioni - (pubblicato anche da L'Osservatore Romano Anno CLIV n. 72 (46.614) Città del Vaticano sabato 29 marzo 2014)


Il magistero spirituale di un uomo semplice. I Detti di frate Egidio d’Assisi
 
         Le parole più belle per definire Frate Egidio d’Assisi, terzo compagno di san Francesco, sono forse quelle di Tommaso da Celano che l’accosta alla figura biblica di Giobbe: un uomo semplice e integro, che temeva Dio e che nella sua lunga esistenza terrena visse in santità, giustizia e devozione, lasciandoci esempi di perfetta obbedienza, ma anche di lavoro manuale, di vita solitaria e di santa contemplazione.

A questi tratti agiografici propri di una figura esemplare anche nelle dure prove della vita quotidiana si aggiunge un accostamento a san Francesco nell’umiltà spirituale e nel non essere un uomo di cultura secondo l’accezione allora tradizionale: riecheggiando l’epistola diretta a tutto l’Ordine, in cui Francesco si descriveva come idiota e ignorans, anche la leggenda egidiana attribuita a frate Leone (la Vita Leonina) lo descrive come homo idiota et sine litteris, rusticus et simplex, utilizzando termini, idiota et simplex, presenti anche nella Legenda maior di Bonaventura da Bagnoregio. Un uomo semplice, che condivise con Francesco le prime esperienze e le esortazioni alla penitenza, il lavoro manuale, il viaggio nella Marca d’Ancona, seguendo e riproponendo nella sua vita l’esempio francescano.

Ma anche un uomo cui fu dato di sperimentare esperienze mistiche e visioni divine, che aggiunsero nuova linfa alle parole di sapienza per cui era già noto. Quando morì, nel 1262, i suoi ‘detti’ iniziarono a essere raccolti in varie collezioni che a loro volta conobbero delle rielaborazioni redazionali, mentre in parallelo furono scritte delle leggende agiografiche che fecero da sfondo alla sua fama di santità sapienziale. Divenne una figura esemplare dei fratres della prima generazione, precedente a quell’espansione segnata dall’arrivo di frati di diversa origine, in prevalenza chierici, che significò un’evoluzione della fraternità in senso lombardo e internazionale e le diede una diversa caratterizzazione intellettuale.

         La biografia di Egidio è parallela alla storia minoritica. Fu uno dei primi fratres accolti alla Porziuncola, in una fraternitas di non chierici provenienti da Assisi e dell’Italia centrale. Fu lui ad accompagnare nella Marca di Ancona Francesco, quando ancora questi non predicava al popolo, ma confortava e invitava alla penitenza:, mentre Egidio sottolineava la novità della proposta evangelica con semplici parole: « Dice bene, credetegli! ». Al ritorno alla Porziuncola, si era probabilmente ancora nel 1208, accolse l’invito di Francesco ad andare per il mondo e a esortare gli uomini alla penitenza con la parola e con l’esempio; si diresse allora in pellegrinaggio a Santiago di Compostela, praticando l’elemosina e continuando a esortare all’amore e al timore di Dio, insieme alla penitenza per i propri peccati, ma incontrò diffidenza e anche sprezzanti ironie e affrontò difficoltà esemplarmente comuni a quelle sperimentate anche dagli altri frati durante l’itineranza.

Al suo ritorno Egidio condivise lavoro, preghiera e ancora viaggi mirati all’annuncio penitenziale e di fede: i viaggi lo portarono a Roma, a Monte Sant’Angelo, a Bari e a imbarcarsi per la Terra Santa e in Tunisia, nell’ambito di una vera e propria missione fortemente voluta da Francesco. Sempre alternò lavoro e preghiera, come fu evidente soprattutto nel suo soggiorno a Roma, ma sempre si impegnò nell’annuncio penitenziale.

Nel 1214 Egidio fu inviato da Francesco in un eremo nei dintorni di Perugia, Favarone, dove rimase più anni in penitenza con alcuni compagni, allontanandosi talvolta per viaggi e soggiorni nell’Italia Centrale, sempre continuando a lavorare per il proprio sostentamento come nell’eremo. Secondo la Vita Leonina, presso Favarone Egidio sperimentò le prime esperienze mistiche: la sua anima estraniata dal corpo poté contemplare se stessa e i secreta celestia, mentre in un’altra occasione sperimentò la presenza di un terrore orribile’ che gli impediva anche solo di pregare (un angelo di Satana, come gli spiegò san Francesco).

Il 1226 fu uno spartiacque sia per l’Ordine, sia per Egidio, che fu presente alla morte di san Francesco. Subito dopo si ritirò con un compagno all’eremo di Cetona, nella diocesi di Chiusi, per un periodo di penitenza. Durante il ritiro, da tre giorni prima di Natale fino all’Epifania, Egidio ebbe delle visioni divine che lo cambiarono profondamente: da allora, oltre alla sua testimonianza evangelica e al suo fervido eloquio sapienziale, per cui era già noto, arricchirono la sua figura agiografica il moltiplicarsi di rivelazioni e rapimenti estatici, conducendo una vita di solitudine, digiuno e preghiera in una cella su un colle, Monteripido alle porte di Perugia, dove morì nella notte tra il 22 e il 23 aprile 1262.

Intorno a lui, e in seguito in sua memoria, si era radunata una piccola comunità informale, costituita da Frati Minori e da laici devoti, che può essere considerata in un certo senso il destinatario ideale dei motti proverbiali con toni sapienziali raccolti nelle collezioni dei suoi Dicta. L’essersi rivolto a questa comunità mista spiega la duplicità di alcune parti dei Dicta, come ad esempio le parole con cui è proposta la figura della Vergine Maria (‘La gloriosa Vergine madre di Dio nacque da peccatori e peccatrici e neppure visse in un qualche ordine religioso e tuttavia è quella che è’) in un capitolo dedicato in modo specifico a temi della vita consacrata e spiega anche la grande fortuna che la collezione più ampia, nella seconda redazione, ha avuto in area fiammingo-renana, negli ambiti di formazione e di diffusione della devotio moderna.

         Tra i modelli letterari cui i Dicta si rifanno ci sono senz’altro i Verba seniorum, i detti dei Padri del deserto che, diffusissimi nell’intera epoca medievale, conobbero una particolare fortuna nel XIII secolo presso gli ordini mendicanti, insieme alle altre parti delle Vitae Patrum. In questa collezione di risposte edificanti e di motti sapienziali attribuiti ai Padri del deserto, la parola aveva un ruolo centrale: la loro struttura li ha resi particolarmente adatti nel contesto della predicazione, poiché potevano essere agevolmente usati come repertorio cui attingere per exempla o anche solo per semplici ed efficaci motti esemplari.

Al di là della fortuna dei Verba seniorum nel contesto della predicazione mendicante, è però importante notare che con le collezioni dei Dicta Egidio viene assimilato ai Padri del deserto, riportando la sua figura e i suoi aforismi a un contesto eremitico fuori dal tempo, lontano dalle raffinatezze della predicazione e molto più consono alla semplicità del suo magistero spirituale. D’altra parte sono frequenti le assonanze con le Admonitiones di san Francesco, anch’esse assimilate ai Verba seniorum, sia per genere letterario, sia per le modalità di composizione, così come nelle parole di Egidio traspare quella ‘semplicità di discorso’ che Tommaso da Celano attribuiva al fondatore dell’Ordine.

         I detti egidiani mostrano sintonia con la Regola Bollata e la Regola non Bollata per quanto riguarda i temi della predicazione e possono essere a buon diritto considerati un’esemplificazione della raccomandazione della Regola ad annunciare il Cristo con’brevità di discorso’. Sullo sfondo rimane la predicazione: il punto di partenza dei Dicta si rifà ai temi indicati nella Regola Bollata, trattando delle ‘virtù, delle grazie e della loro efficacia’ con un'evidente attenzione alla predicazione diretta al popolo, così come si insiste sulla necessità per i predicatori di guardarsi dalla vana scienza e di far corrispondere le loro parole alle loro opere ('Talvolta vogliamo sapere molte cose per gli altri e poche per noi. La parola di Dio non è di chi la annuncia o la ascolta, ma dichi la trasforma in opere. Molti senza sapere nuotare entrarono in acqua per aiutare coloro che stavano annegando; quelli e questi morirono insieme. Prima era una perdita, dopo furono due').

In altre parti si tratta delle qualità che dovevano caratterizzare i frati minori, secondo il capitolo della Regola non Bollata sui predicatori (ad esempio l'umiltà: ‘Nessuno può conoscere Dio se non per la via dell’umiltà. La via per andare in alto è andare in basso’), mentre i capitoli conclusivi dei Dicta sono dedicati specificatamente ai temi della vita consacrata. D'altra parte il pubblico cui Egidio si rivolgeva era composto anche di laici e i redattori hanno raccolto in alcuni capitoli aforismi utili sia a un pubblico di religiosi, sia a dei laici devoti (Quando una volta frate Egidio raccomandava molto la castità era presente un uomo sposato che chiese: «Io mi astengo da tutte le altre donne eccetto da mia moglie; è sufficiente per me questo comportamento?». Gli rispose: «Ti sembra possibile che un uomo si possa ubriacare con il vino della sua botte?». Egli disse: «Può »’).

         In ogni caso la figura di Egidio e le sue parole si collocano nel punto cruciale di trasformazione della fraternità penitenziale di Assisi in una vera e propria religio radicata nel contesto della città. È il tempo in cui l’annuncio francescano passa dalla semplice esortazione, come era stato nel viaggio di Francesco e di Egidio nella Marca d’Ancona, alla predicazione vera e propria; del passaggio da un’itineranza assoluta a una più limitata, della trasformazione dell’economia di sussistenza grazie al lavoro manuale all’economia mendicante; della sostanziale egemonia dei nuovi reclutati, chierici dalle notevoli qualità culturali e pastorali.

         Stefano Brufani ha curato una splendida edizione dei Dicta pubblicata dalla Fondazione del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo di Spoleto, che si affianca alle traduzioni delle vite e dei detti egidiani, con il corredo di introduzioni e note, ad opera dello stesso studioso nel volume delle Fonti agiografiche dell’Ordine Francescano a cura di Maria Teresa Dolso (da cui sono tratti i detti egidiani citati).

L’edizione è introdotta da uno studio di ben 264 pagine, indispensabili per inquadrare nel contesto storico la composizione dei Dicta, i problemi dati sia dalla particolarità della loro composizione, sia dall’esistenza di diverse collezioni e redazioni, dipanando una tradizione manoscritta a prima vista inestricabile per problemi e difformità. Tra i risultati più notevoli vi è anche una nuova e più convincente successione delle leggende agiografiche egidiane, fissando la precedenza della cosiddetta Vita Perusina rispetto alla Vita Leonina.

L’impresa è tanto più notevole se si considerano le particolarità della composizione del testo: le parole sono infatti di Egidio d’Assisi, ma la loro prima formulazione, orale o scritta, è ascrivibile alla cerchia dei compagni e dei familiari, e la loro ricerca, la loro selezione, la loro ripartizione in diversi capitoli è opera di uno o più redattori. A questo si può aggiungere la composizione di più collezioni e i diversi rifacimenti, ognuno basato su di una redazione precedente, ed anche l’ampliamento e la progressiva diluizione del nucleo originale ad opera di copisti compilatori.  Un lavoro di edizione che ben esemplifica l’accezione di più alta del lavoro filologico: la dedizione e la scrupolosa ricostruzione delle dinamiche di composizione e di tradizione del testo, in questo caso la restituzione del magistero spirituale di Egidio, uomo semplice e integro.
 
Giovanni Paolo Maggioni

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